14 dicembre 2011

Un problema enorme: la desertificazione



La desertificazione è un altro fenomeno che provoca catastrofi naturali di grande rilevanza. Nel nord-ovest della Cina, la regione di Minqin, che un tempo era fertile, ricca d’acqua e di pascoli, è oggi fortemente colpita dal processo di desertificazione (il 94% del territorio rurale si sta desertificando). In questa regione la sabbia sta avanzando di 10 metri l’anno e riescono a sopravvivere solo 300.000 abitanti. A livello globale, i deserti si stanno espandendo sempre più e con più rapidità, infatti il 40% delle terre emerse è vittima della desertificazione (con conseguente perdita di biodiversità). Il professor Uwe Holtz dell’Università di Bonn, che ha scritto un saggio sulla desertificazione, ha affermato: “La capacità del nostro pianeta di sostenerci si sta consumando”.

Che caldo! Le temperature aumentano sempre più

Mentre in alcuni Paesi si stanno verificando piogge più violente e devastanti, come in Australia, Canada, Stati Uniti, Svizzera, Giappone, Regno Unito, Norvegia, Sudafrica e Brasile nordorientale, in altre zone del mondo, come il Corno d’Africa e la Cina settentrionale, la terra sta diventando sempre più arida. Infatti, in Somalia, Etiopia, Kenya e Gibuti si sta attualmente assistendo alla peggiore siccità degli ultimi decenni, a carestie continue e al conseguente aumento dei prezzi alimentari.



Negli ultimi anni, i Tropici del Cancro e del Capricorno si sono estesi di 500 km a Nord e 500 km a Sud. Questa espansione della fascia tropicale causa un aumento delle ondate di calore, siccità, cicloni più intensi e, più in generale, essa causa un’estensione della fascia climatica tropicale. Dunque attualmente vi è un numero maggiore di Paesi colpiti dal tipico clima tropicale. Dagli anni '70, ondate di caldo come “El Niño” sono diventate più frequenti, intense e prolungate e in determinate regioni dell'Asia e dell'Africa sono aumentate notevolmente l’incidenza e l’intensità dei periodi di siccità. Si è visto che tra le estati più calde vi sono quelle del 2003 e del 2010.[1] L’Europa non ha mai sperimentato tali anomalie termiche estive negli ultimi cinquecento anni. In quella del 2003 l’Europa continentale ha patito temperature estreme, le quali hanno provocato disastrosi incendi boschivi in Spagna, Francia e Portogallo, causando, inoltre, un numero incredibile di vittime (soprattutto anziani). Nell’estate del 2010 vi fu un’ondata di caldo eccezionale nell’Europa orientale e in Russia, portando con sé incendi devastanti, causati dalla siccità estrema, i quali interessarono una superficie di 1 milione di ettari, provocando perdite di raccolti di circa il 25%. Il 2010 ha battuto ogni record in termini di aumento della temperatura media e di estensione territoriale dell’ondata di calore e la scarsità di piogge ha poi aggravato ancor più la situazione. 


Per giungere alla conclusione che le estati del 2003 e del 2010 hanno battuto vari record che duravano da 500 anni, i ricercatori hanno confrontato le temperature medie dal 1871 ad oggi, utilizzando metodi di osservazione basati sugli anelli degli alberi e sulle carote di ghiaccio. Da qui si può inoltre arrivare a dire che nell’ultimo decennio si stanno verificando estati sempre più calde. Secondo i ricercatori, entro la fine del secolo le ondate di caldo registrate nell’estate del 2003 potrebbero verificarsi ogni due anni.


[1] www.meteogiornale.it

Alluvioni. La pioggia diventa una minaccia

Anche le alluvioni sono diventate negli ultimi decenni più intense e frequenti. Questo è dovuto all’aumento di precipitazioni: l’aumento della temperatura del pianeta altera il ciclo idrologico della Terra. Più si surriscalda l’aria, più si accumula umidità e vapore acqueo e maggiori sono le precipitazioni. Una più elevata umidità significa temporali più intensi. L’alluvione del Mozambico del 2000, causata da pesanti piogge, ha ucciso migliaia di persone e ha devastato l’intera area; in India le alluvioni del luglio 2005 hanno causato oltre 750 vittime; la Cina è stata colpita sia nel 2010 che nel 2011 da alluvioni e frane; nel gennaio 2011 le piogge torrenziali che si sono abbattute sul Brasile hanno provocato centinaia di morti e migliaia di senza tetto; sempre nel gennaio 2011, anche in Australia, nel Queensland, vi sono state alluvioni di dimensioni mai viste in precedenza, provocando migliaia di vittime e danni stimati in miliardi di dollari; nello stesso anno anche lo Sri Lanka e le Filippine sono stati colpiti da piogge torrenziali e alluvioni, portando a terribili conseguenze.


In Italia abbiamo assistito nell’ottobre 2011 ad una alluvione di dimensioni epocali e ad un’enorme ondata di fango che hanno messo ko il Levante ligure e la Lunigiana e distrutto la perla delle Cinque terre. Come spiega il giornale la Repubblica a proposito di tale evento meteorologico, dagli anni ’90 i giorni di pioggia sono diminuiti, mentre è aumentata l’intensità delle precipitazioni. In pratica, in Italia, mentre prima degli anni ’90 avveniva un solo evento climatico estremo ogni 15 anni, dagli anni ’90 ad oggi se ne verificano 4-5 all’anno. Alluvioni così intense, chiamate dai meteorologi ‘flash flood’ (alluvioni lampo), sono dovute ai cambiamenti climatici, e fanno sì che, anziché avere delle precipitazioni distribuite in modo regolare durante tutto l’anno, si abbiano in un solo giorno tra i 250 e i 300 millimetri di pioggia (e non i normali 40-50 millimetri).


Questi fenomeni sono diventati sempre più devastanti per una ragione ben precisa. Secondo uno studio condotto da Gabriele Hegerl, una climatologa dell’Università di Edimburgo, pubblicato sulla rivista Nature, a causa dell’effetto serra sono aumentate le precipitazioni nell’emisfero Nord negli ultimi 50 anni e in futuro ci aspettano nubifragi ancora più violenti. Infatti, a causa del surriscaldamento globale, dovuto all’effetto serra prodotto dalle sostanze inquinanti che ogni giorno immettiamo nell’atmosfera, si generano precipitazioni e inondazioni catastrofiche. Questa ricercatrice, insieme ai suoi colleghi, ha messo a confronto la mappa delle precipitazioni degli ultimi 50 anni con quella delle piogge che sarebbero avvenute nello stesso arco di tempo se l’atmosfera non avesse accumulato i gas serra prodotti dall’uomo. Il risultato è che dal 1951 al 2001 si sono verificate piogge sempre più violente di anno in anno e che, per esempio, le inondazioni del 2000 avrebbero avuto una probabilità del 20% più bassa di verificarsi se non ci fosse stato il riscaldamento climatico. Si è osservato che gli anni più caldi fino ad ora sono stati il 1998, il 2000, il 2005, il 2010 e il 2011 e, secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, la temperatura media globale nel 2010 ha superato di 0,53 °C la media dell’anno 1961.

Mark Lynas, nel suo libro “Notizie da un pianeta rovente”, scrive che un Paese come la Gran Bretagna, noto per il clima piovoso, non aveva mai assistito alle alluvioni e intense precipitazioni che si sono verificate dal 1990 ad oggi. Inoltre spiega che tra gli anni ’60 e la metà degli anni ’90 in inverno le piogge definite ‘violente’ si sono duplicate. L’atmosfera del nostro pianeta ha un meccanismo simile a quello del corpo umano: quando si surriscalda emette sudore, che non è altro che vapore acqueo. Dunque c’è una proporzionalità diretta tra temperatura atmosferica e precipitazioni: maggiore è la prima, maggiore sarà la seconda. E aggiungerei, maggiore è la temperatura atmosferica, più intense e violente saranno le precipitazioni. Il surriscaldamento globale porta a una maggiore quantità di aria calda e umida, la quale provoca a sua volta piogge più violente e intense. Lynas spiega, inoltre, che questo aumento di precipitazioni non è un bene nemmeno per la fertilità del terreno, poiché, quando le precipitazioni sono violente, l’acqua ha poche probabilità di essere assorbita dal suolo.

La forza devastante della natura. Uragani e tornado




A livello globale, dagli anni Settanta in poi le catastrofi naturali hanno iniziato a fare più vittime rispetto al passato. Nella maggior parte dei casi si è trattato di inondazioni e siccità. Da questo decennio in poi il clima ha cominciato letteralmente ad impazzire, piogge torrenziali, uragani e tornado devastanti sono diventati consueti, diventando ancora più intensi e frequenti dagli anni Novanta ad oggi. Inondazioni senza precedenti sono avvenute in Pakistan nel 2010 e nel 2011: nel giro di poche settimane vi sono state più precipitazioni di quelle solitamente previste per l’intera stagione delle piogge monsoniche, provocando migliaia di sfollati, migliaia di villaggi sommersi, migliaia di vittime e milioni di ettari di terreno inondati. In un Paese come il Pakistan, in cui le piogge monsoniche sono essenziali per la produzione agricola, e quindi per la sopravvivenza dei pakistani, i cambiamenti climatici provocano disastri ancora maggiori e hanno un impatto ancor più devastante: non vi sono più raccolti a sufficienza, i prezzi sono alle stelle e le persone muoiono di fame. I Paesi poveri sono sicuramente più vulnerabili alle catastrofi naturali e bisognerebbe aiutarli e proteggerli. 


Gli uragani (chiamati cicloni nell’Oceano Indiano settentrionale e nel Golfo del Bengala e tifoni nell’Oceano Pacifico occidentale) e i tornado non solo hanno aumentato la loro intensità e la loro portata nelle località in cui erano già soliti verificarsi, ma si sono manifestati anche in zone che in precedenza non erano mai state colpite, come nel caso della Nuova Scozia, in Canada, nel settembre 2003, con l’uragano Juan, che provocò seri danni. Questo avviene a causa del surriscaldamento globale, il quale provoca uragani anomali. Più si surriscaldano le acque dell’oceano e più sono intensi gli uragani. Un uragano si verifica quando la temperatura dell’oceano raggiunge i 26 °C, dunque è un evento climatico che teoricamente avviene solo in zone come l’Oceano Pacifico e il Mar dei Caraibi. In realtà, però, con l’aumento delle temperature oceaniche, gli uragani oggi avvengono anche in altre zone del pianeta, per esempio per la prima volta nella storia si è verificato un uragano in Brasile, nel 2004. 



Anche New York, nell’agosto 2011, si è vista minacciata dall’arrivo di un uragano nominato Irene che poi ha risparmiato fortunatamente la città. Questo uragano, con i suoi 800 km di diametro e con una velocità di 185 km/h, poteva davvero provocare una catastrofe di dimensioni epocali per New York, essendo quest’ultima una città non preparata a ricevere questo tipo di minacce, e inoltre dotata di una posizione sul mare (e dunque pericolosa) e di una skyline che avrebbe ingigantito gli effetti disastrosi di un eventuale uragano. Irene ha però interessato altre aree, come le Bahamas, Porto Rico, Florida e Carolina del Nord, lasciando migliaia di persone senza elettricità e senza dimora. Nell’estate del 2005 l’uragano Katrina devastò New Orleans, in Lousiana, provocando 1577 vittime, distruggendo centinaia di case e inondando l’80% della città. 


Nelle ultime stagioni l’Atlantico sembra essere diventato iperattivo, dando vita a un numero maggiore di tempeste (che diventano uragani quando i venti raggiungono i 120 km/h), alcune delle quali con un’intensità incredibile. Dal momento che gli anni ’90 sono stati in assoluto gli anni più caldi, bisogna dire che questa iperattività dell’Atlantico è correlata all’aumento delle temperature. Il clima e i suoi fenomeni sono letteralmente impazziti, non presentano piú un andamento regolare e non seguono più le medie che si verificavano fino a qualche decennio fa. Infatti, nel 1995, mentre nell’Atlantico c’è stato un picco da record nell’attività dei cicloni tropicali, nel Pacifico nordorientale c’è stato un minimo storico. Nel Pacifico nordoccidentale, invece, vi è stato prima un calo e poi un aumento (della durata di un decennio) dell’attività dei cicloni tropicali. Nel frattempo, nelle zone equatoriali si sta verificando un prolungamento della stagione delle tempeste. Il 2011 è stato un anno record per allagamenti, tornado e siccità. Negli Stati Uniti i tornado non sono mai stati tanto letali come nel 2011, molto più distruttivi del solito e con un numero maggiore di vittime. L’intensità e la potenza distruttiva dei tornado sta aumentando sempre più. Essi si verificano in tutto il mondo, ma ancor più nelle zone più soggette, come gli Stati Uniti, in particolare in Kansas, Texas settentrionale, Nebraska e Oklahoma.

Rischio esondazioni, è giusto costruire argini e dighe?




La natura si ribella perché l’uomo tenta caparbiamente di modificare il suo corso naturale e questo può avere conseguenze peggiori dei normali disastri naturali che da sempre sono avvenuti sul nostro pianeta. Spesso si tenta di controllare la natura e i suoi fenomeni in un modo che non ci è concesso, utilizziamo metodi e tecnologie che sono più grandi di noi stessi e che poi ci si ritorcono contro. Per esempio, se si tenta di modificare il corso di un fiume ci potrebbero essere inondazioni che poi non siamo capaci di controllare e finiamo per autodistruggerci. In molti casi sono stati costruiti argini, dighe e canali per difendere delle città da alcuni fiumi predisposti alle esondazioni, ma tali strutture hanno fatto sì che avvenissero poi inondazioni ancora più devastanti nel caso di un loro cedimento. Infatti, le dighe possono creare inondazioni più distruttive nel caso dovessero cedere. Inoltre è logico che, se si costruisce in prossimità di un fiume, un’eventuale inondazione provocherebbe danni maggiori per il semplice motivo che distruggerebbe le abitazioni e farebbe morire un maggior numero di persone. Evidentemente l’uomo non sa porre dei limiti al suo dominio sugli elementi naturali, non è in grado di fermarsi di fronte all’evidenza di una catastrofe che con molte probabilità potrebbe avvenire a causa delle modifiche e alterazioni nei confronti della natura. C’è da dire anche che i sistemi fluviali non sono in grado di reggere le precipitazioni che si stanno verificando negli ultimi tempi, le quali sono più intense e violente e si concentrano in brevi periodi (mentre un tempo erano ben distribuite nell’arco dell’anno).


Un esempio di questo genere di disastro naturale è l’esondazione del fiume Mississippi che, nel maggio 2011, ha superato i 17 metri, il suo massimo livello storico, inondando di conseguenza le case che sono state costruite nei suoi pressi. 


Molte catastrofi naturali potrebbero essere evitate o rese meno devastanti e distruttive se si usasse un po’ più di logica nella gestione del territorio, nell’edilizia, nelle progettazioni di industrie e impianti e se si rispettassero la natura e il suo corso.


Nella storia ci sono stati casi in cui è stato l’uomo stesso a provocare delle esondazioni per soddisfare i suoi interessi egoistici, e lo ha fatto senza preoccuparsi minimamente degli effetti che il suo intervento sulla natura potesse provocare. È il caso delle inondazioni dei Paesi Bassi provocate dai tedeschi nel 1944 per rallentare l’avanzata di truppe nemiche.

Quando i disastri naturali vengono resi ancora più devastanti dall'uomo




Un disastro naturale è un fenomeno che avviene per cause naturali, ma che può essere spesso intensificato e accentuato dalle attività umane. Dunque, le attività dell’uomo non solo provocano disastri ambientali, ma aumentano anche la percentuale e l’intensità dei disastri naturali. 


A partire dagli anni Settanta, disastri naturali come le valanghe, i terremoti, le frane, le inondazioni, i tornado e gli uragani sono stati amplificati e resi più aggressivi e disastrosi dalle attività umane. La colpa è, quindi, dell’uomo. Se per esempio si deforesta un’area collinare, un semplice nubifragio può risultare devastante; se si sfruttano in modo sproporzionato le risorse di un determinato territorio, si accentua il suo processo di desertificazione; se si costruiscono edifici in una zona non adatta alla loro realizzazione oppure in quella determinata zona vi è un’eccessiva quantità di abitanti, eventi come frane, eruzioni vulcaniche, alluvioni o tsunami comportano effetti più disastrosi del normale. 


La catastrofe avvenuta in Giappone nel marzo 2011 è un chiaro esempio di come due fenomeni naturali, come un terremoto di magnitudo 8,9 e uno tsunami, possano diventare ancora più devastanti a causa dell’uomo. Lo tsunami ha inondato la centrale nucleare di Fukushima, mettendo fuori funzione i sistemi di raffreddamento dei reattori e provocando così il surriscaldamento di quest’ultimi e la conseguente fuoriuscita radioattiva. Se quella centrale nucleare non fosse stata costruita proprio in riva al mare, in una nazione che tra l’altro è particolarmente conosciuta per essere altamente sismica e a rischio tsunami, si sarebbero verificati solo danni attribuibili ad un semplice terremoto e a un semplice tsunami; inoltre non ci sarebbe stato un incidente nucleare classificato come livello 7 (il più alto) della scala INES (al pari di Chernobyl), con ulteriori serie conseguenze a breve e a lungo termine sulla salute di esseri umani, di piante e di animali a causa delle radiazioni, per non parlare dei gravi danni economici.


In Italia, secondo molti geologi, il terremoto di magnitudo 5,8 avvenuto in Abruzzo il 6 aprile 2009 non avrebbe provocato tutte quelle vittime se le case fossero state costruite secondo le norme antisismiche, come avviene invece in Giappone (dove avvengono terremoti di magnitudo molto più elevata e gli edifici non crollano). 


Bisogna dunque dire che, nella maggioranza dei casi, i disastri naturali sono fortemente aggravati dall’essere umano, per un motivo o per un altro. Si costruisce in luoghi poco adeguati ed in modo non idoneo, non vengono attuate norme preventive, ci si ostina a voler sfruttare in modo esagerato e comunque errato determinati territori; si tenta di modificare l’ambiente costruendo per esempio dighe che deviano il corso naturale di un fiume, provocando così siccità e mancanza d’acqua laddove le acque sarebbero dovute arrivare se non ci fosse stato l’intervento umano. A Napoli sono state costruite case presso il Vesuvio, con la convinzione, forse errata, che quel vulcano sia ormai innocuo; in altre località sono state costruite case vicino a mari e fiumi, pur sapendo che c’è sempre il rischio di eventuali esondazioni. Oppure, ci si ostina a costruire strutture in zone a rischio tsunami o a rischio sismico.